Lo sforzo degli atleti che praticano sport di resilienza come la maratona e l’ultramaratona, così come quello di tutte le persone che nelle situazioni complicate non si arrendono, combattono e
reagiscono, è correlato alla loro capacità di essere resilienti.
Il termine resilienza deriva dalla tecnologia dei materiali e indica la proprietà di assorbire gli urti senza spezzarsi.
Secondo gli psicologi chi è resiliente presenta alcune qualità di base che sono influenzate da fattori genetici e ambientali.
Grazie a questi ultimi, la resilienza si può sviluppare e migliorare con l’allenamento fisico e mentale.
Sono stati condotti vari studi che si sono focalizzati sull’analisi delle caratteristiche individuali dei soggetti resilienti ed hanno evidenziato che sono ottimisti, hanno un’alta autostima,
sono spinti da una grande motivazione intrinseca, hanno molte risorse e emozioni positive.
Queste sono solo alcune delle peculiarità generali indispensabili per tutti coloro che vogliono intraprendere una disciplina sportiva in cui serve resistenza fisica e tanta autodeterminazione.
Adesso entreremo nel dettaglio e vi presenterò le caratteristiche specifiche necessarie allo sviluppo della resilienza per ogni atleta che intende affrontare prestazioni sportive che comportano grande sforzo e dedizione:
Le 5 fasi per lo sviluppo della resilienza nell’atleta
- Impegno e controllo
- Interpretazione degli eventi
- La perseveranza e la gestione dell’inatteso
- Imparare a rialzarsi
- La speranza
1. IMPEGNO E CONTROLLO
“Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano.
Nello sport come nella vita”. Pietro Mennea Attribuire i propri successi o insuccessi all’impegno o alla mancanza d’impegno si è dimostrata la migliore strategia cognitiva per ottenere obiettivi e gestire problemi.
Le grandi prestazioni in qualsiasi campo sono il risultato dell’esercitazione, della preparazione e dell’impegno piuttosto che di capacità innate.
I grandi campioni non parlano di talento ma fanno sempre riferimento, quale artefice dei loro risultati, al sacrificio e al duro lavoro.
Gli atleti migliori di ogni disciplina sono caratterizzati dall’allenarsi nel proprio sport con maggiore impegno e dedizione rispetto agli altri.
Avere fiducia nelle proprie capacità (autoefficacia) e credere di avere un controllo sugli eventi, è il primo passo che abbatte un muro mentale e apre le porte dell’impegno.
In caso di fallimento, ragionare utilizzando questo principio, permette allo sportivo di credere di non essersi impegnato abbastanza, non di non avere la stoffa o pensare che tutto è andato contro di lui.
Ciò mette in salvo le sue future aspettative di successo perchè se si impegnerà di più la volta successiva potrà farcela.
Gli esseri umani quando hanno il senso di controllo del contesto in cui si trovano riescono ad affrontare anche difficoltà ritenute insuperabili.
La cosa importante non è tanto avere obiettivamente il controllo della situazione, quanto esserne convinti profondamente.
Avere una buona autoefficacia in questo caso, ovvero la fiducia nelle nostre capacità, aiuta notevolmente.
Un soggetto resiliente manifesta il proprio senso di controllo dimostrando una certa flessibilità di fronte agli inconvenienti che possono capitare durante una prestazione sportiva (es. cambiamento delle condizioni meteo, terreno scivoloso).
2. L’INTERPRETAZIONE DEGLI EVENTI
Le persone non sono stressate dagli eventi in sé, ma dal modo in cui li valutano e li interpretano.
Alcuni tipi di valutazione cognitiva e di modelli che lo sportivo ha costruito del mondo lo rendono più vulnerabile rispetto ad altri.
La valutazione cognitiva è come una lente che mettiamo davanti agli occhi con la quale guardiamo il mondo e lo interpretiamo.
La sensibilità allo stress è in gran parte prodotta da noi stessi e dipende da come “leggiamo” la realtà circostante e da quanto ci sentiamo in grado di fronteggiarla.
La realtà non è mai oggettiva e non siamo mai vittime passive degli eventi stressanti a meno che non ci piaccia pensarlo.
La valutazione cognitiva ci permette di vedere lo stesso bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto, ma sempre il solito bicchiere rimane! Essa costituisce un filtro cognitivo
che influenza emozioni, comportamenti e risposte fisiologiche.
Facciamo un esempio concreto: la sensazione di fatica è frutto di una serie di valutazioni eseguite a partire da informazioni sensoriali che se prese singolarmente non avrebbero molto senso ed è influenzata dalle aspettative del soggetto.
Il nostro cervello assembla i dati provenienti dalle fibre muscolari, dalla frequenza dei battiti cardiaci, dei livelli di gas durante gli scambi respiratori e molti altri parametri, dando origine
a una sensazione finale che arriva alla coscienza essenzialmente con due affermazioni: “Ho ancora energia, gambe e fiato” oppure “Non ce la faccio più”. Se l’atleta interpreta i dati con ansia e paura,
oppure valuta lo sforzo come qualcosa che non può sostenere ma solo subire, produrrà effetti anche
sul piano biochimico portando a rifornire meno ossigeno alle fibre muscolari e accelerando
l’affaticamento periferico.
Se invece il soggetto resta tranquillo e non interpreta in modo catastrofico i segnali biologici, se percepisce di poter esercitare un qualche controllo su quelle sensazioni, allora anche la sua risposta comportamentale risulterà adeguata. In una competizione sportiva di resistenza è evidente quanto questo aspetto possa fare la differenza per superare le difficoltà e andare avanti
durante la gara.
3. LA PERSEVERANZA E LA GESTIONE DELL’INATTESO
Gli ostacoli che incontriamo nello sport e nella vita sono fatti di delusione e disagio ma non sono vicoli ciechi, sono gradini necessari per raggiungere i nostri obiettivi.
La perseveranza è costituita dalla capacità di tollerare la frustrazione, sopportare i disagi fisici, affrontare i fallimenti stando nel quì ed ora e accettando quello che c’è. L’accettazione del disagio e
della fatica costituiscono un fattore fondamentale per lo sviluppo della resilienza.
Essi dovrebbero essere prevedibili e anticipabili come consuetudine per raggiungere i propri obiettivi sportivi. Da alcuni studi è stato infatti dimostrato che la fatica percepita è più intensa quando inaspettata.
In qualsiasi situazione della vita, tanto più quando si tratta di una competizione di lunga durata, è impossibile evitare di confrontarsi con l’inatteso, con gli imprevisti che possono essere di varia
natura.
Gli sportivi che praticano sport di resilienza sono ben consapevoli che la propria attività comporta necessariamente il confronto con qualche impedimento: può succedere che le previsioni
meteo siano sbagliate, che gli indumenti non siano indicati per una parte del percorso, può capitare di scivolare e di cadere, di subire un infortunio, di andare in crisi mentale o fisiologica ecc… Per
quanto le persone possano tentare di anticipare gli eventi negativi, non è mai però possibile prevedere la totalità delle situazioni che possono incontrare.
E’ proprio in questi casi che entra in gioco la resilienza, che ci rende in grado di gestire gli eventi critici inattesi riuscendo a contenerli, a gestirli, perseverando e mantenendosi saldi nella volontà di raggiungere i propri obiettivi.
4. IMPARARE A RIALZARSI
Un ingrediente fondamentale per sviluppare un’ottima resilienza è la capacità di apprendere gli elementi positivi da ogni fallimento come occasione di crescita.
Siamo condizionati da una cultura che pone eccessiva enfasi sull’essere sempre al top e vincenti a ogni costo e di conseguenza abbiamo troppa paura di perdere perchè non siamo in grado di gestire mentalmente la sconfitta.
L’insuccesso può essere visto come un rischio, un pericolo ma è anche un’opportunità che ci permette di sviluppare nuove modalità e nuove strategie per ricominciare in modo più intelligente.
Lo sportivo resiliente è in grado di saper portare a casa, nel bel mezzo di un fallimento, un insegnamento (non una consolazione) che lo renda meno vulnerabile la volta successiva, tutti gli altri cercano scuse.
Fallire ripetutamente, provare emozioni negative e ricominciare sempre per giungere al controllo della situazione, significa gettare le basi per lo sviluppo di una resilienza eccezionale.
5. LA SPERANZA
Un ultimo ingrediente essenziale affinchè si possa considerare un soggetto resiliente riguarda l’attitudine di non abbattersi di fronte alle difficoltà.
La speranza può essere definita come la fiducia nell’impermanenza e nella non universalità del negativo. Tale definizione si traduce nella certezza dell’atleta durante la prestazione sportiva che la sensazione di sforzo, fatica, mancanza o difficoltà, prima o poi terminerà.
Riguardo a questo concetto è importante evidenziare una differenza tra i soggetti ottimisti e pessimisti: i pessimisti tendono a concepire le avversità come stabili, durature e costanti e ciò provoca delle conseguenze comportamentali che portano alla resa perchè producono impotenza e disperazione, mentre gli ottimisti (i resilienti) non si arrendono mai perchè hanno imparato a vedere gli eventi negativi come temporanei e specifici.
Il pessimista non solo rende il negativo permanente nel tempo ma lo estende anche a tutte le esperienze e a tutte le sue caratteristiche; se subisce una sconfitta in un campo, tende ad estenderla a tutte le aree della vita.
Continuare a sperare vuol dire avere la forza mentale di andare avanti e combattere, nonostante gli ostacoli che si incontrano, proprio perchè si crede che prima o poi le difficoltà finiranno e in quel momento bisognerà essere pronti a dare il cento per cento.
Apprendere a sperare non significa aspettarsi che qualcosa di positivo accada necessariamente.
Infatti, quando un’aspettativa positiva non viene soddisfatta, il soggetto sperimenta delusione e frustrazione, che possono portare all’abbassamento della propria autoefficacia.
Al contrario la speranza spinge l’individuo ad avere fiducia nelle proprie capacità e ad impegnarsi maggiormente, poiché permette di guardare oltre una difficoltà che viene percepita come temporanea e ristretta in un certo ambito, nel nostro caso quello della performance sportiva.