Natural running e scarpe minimaliste (prima parte)

Il “Natural running” (detto anche “barefoot running” o più semplicemente, il “correre scalzi”) è una moda di nicchia nata alla fine del XX° secolo negli USA.

Negli ultimi anni si stanno sempre più approfondendo ricerche scientifiche sull’argomento perché “sembra” che questo modo di correre possa ridurre il rischio di una certa tipologia di infortuni (fasciti,talloniti e problemi al ginocchio).

La vera impennata dell’interesse per questa realtà è nata, quando si è cominciato a costruire calzature (scarpe o “sandali per correre”) che permettevano di correre protetti (cioè non scalzi, che era il fattore principale che limitava l’interesse per l’argomento), ma allo stesso tempo con suole strutturate per far sembrare il più possibile la corsa simile a quella naturale, cioè con:

1) Minima o nessuna ammortizzazione
2) Ridotto o nessun dislivello tra punta e tallone

Ovviamente “è stata scoperta l’acqua calda”, visto che i Top Runner di per sè utilizzano gia scarpe con ridotta ammortizzazione (per dissipare meno energia in fase di impatto) e con basso dislivello tra tacco e punta (per sfruttare al meglio l’elasticità del
tendine d’achille).

Infatti le scarpe sono state divise in categorie (A1, A2, A3, A4, ecc.) proprio per chiarire sinteticamente le caratteristiche.

Più è piccolo il numero (esempio A1), minore è l’ammortizzazione/dislivello taccopunta.

È ovvio che se fino a qualche anno fa le A1 erano le più estreme, alle minimaliste è stata data la dicitura A0.

ESITO DELLE RICERCHE ed ASPETTI PRATICI

Indossando questo tipo di calzature si riduce l’impatto del piede a terra, per il semplice motivo che si tende spontaneamente a ridurre la forza di impatto per evitare di sovraccaricare le strutture anatomiche del piede (in quanto meno protette).

insieme a questo aspetto, si tende anche ad appoggiare il piede su un punto leggermente anteriore rispetto all’utilizzo delle ammortizzate (e questo è il reale motivo per il quale si riduce il rischio di alcuni infortuni).

Da queste conclusioni i sostenitori del movimento hanno  fatto il loro vero cavallo di battaglia, senza  considerare che il minore impatto al suolo erad ovuto semplicemente al fatto che (almeno quando si inizia ad usare queste scarpe) si corre più piano!

Un aspetto importante che è stato visto dalle ricerche è stato che l’utilizzo di calzature eccessivamente protettive (rispetto ad altre meno protettive) prolungal’impatto del piede al suolo e limita l’allungamento del tendine d’achille in fase d’appoggio sovraccaricando la struttura anatomica del tallone.

Con le minimaliste invece si tende a:

 Appoggiare in parti più avanzate del piede (parte centrale o anteriore del piede) allungando maggiormente il tendine d’achille (maggiore flessione plantare), sfruttando a pieno le proprietà elastiche di questa struttura anatomica, ma allo stesso tempo incrementando il rischio di tendinopatia per chi è propenso a questa tipologia di infortunio.

 Avere una maggiore frequenza e minor lunghezza della falcata (per lo meno nella fase iniziale del loro utilizzo).

 Riduce la pronazione del piede perché c’è una maggior contrazione dei muscoli intrinseci per proteggere le strutture anatomiche dall’impatto.

 L’impatto di transizione (che limita la restituzione di energia elastica) è minimizzato (a seconda della tipologia di atleti).

Oltre alla scienza, solo il passare del tempo e l’ammontare dell’esperienza di migliaia  e migliaia di atleti permetterà di avere un giudizio definitivo in materia.

Però, alla domanda “tutti dovrebbero passare alle scarpe minimaliste per ottimizzare la performance?”, attualmente non è possibile dare risposta certa.

infatti, alcuni atleti hanno trovato giovamento nel passare a questo tipo di calzature, mentre altri hanno incrementato il loro tasso di infortuni.

 

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