L’allungamento funzionale

ALLUNGAMENTO FUNZIONALE E FISIOLOGIA

Prima di passare all’aspetto pratico dell’argomento, credo sia giusto fare un semplice (e comprensibile a tutti) cenno alla fisiologia dell’allungamento.

Nel post dedicato all’allenamento funzionale abbiamo approfondito 2 aspetti molto importanti:

  • I muscoli e le fasce connettivali sono concatenati da legami e tensioni che portano al riconoscimento di diverse catene muscolari come quella posteriore, quella estensoria, quella flessoria, ecc.

Infatti, all’interno del corpo umano, abbiamo i muscoli della statica, i muscoli della dinamica e le fasce connettivali.

  • Il cervello umano riconosce il movimento delle catene muscolari e non le azioni isolate di un singolo muscolo.

Questo significa che anche l’allungamento muscolare, cioè che i movimenti utilizzati per l’allungamento, affinchè diventino efficaci devono coinvolgere le catene muscolari nel loro complesso.

Infatti, il grado di allungamento di una catena muscolare (cioè quanto riusciamo ad essere flessibili), non è altro che la conseguenza dell’effetto diretto delle posizioni maggiormente assunte in allenamento.

In altre parole, è l’insieme di tutti gli stimoli allenanti a determinare l’allungabilità di una catena muscolare, l’efficienza e la precisione dei gesti ad angoli articolari estremi.

PERCHE’ UN MUSCOLO FATICA AD ALLUNGARSI?

La risposta più banale potrebbe essere “perché non è sufficiente lungo”.

Ma è una risposta ad una domanda che poco ha a che fare con il senso pratico del movimento.

Infatti una domanda più consona (ed interessante) potrebbe essere:

Perché un determinato soggetto non riesce a gestire l’articolarità e l’efficienza del gesto agli angoli articolari estremi della propria disciplina (o della vita quotidiana)?

Le cause potrebbero essere diverse:

  • Perché ha una o più catene muscolari troppo rigide:

la rigidità solitamente si genera da atteggiamenti posturali che nel corso della vita vanno ad accorciare le catene muscolari o dal fatto di avere una semplice vita sedentaria.

Ad esempio il classico lavoro “da scrivania” tende a far accorciare la catena posteriore, non solo a livello muscolare, ma a livello di tutta la fascia connettivale.

  • Perché uno o più muscoli sono troppo deboli:

un muscolo debole fa fatica ad allungarsi, proprio perché esistono dei meccanismi protettivi (del sistema nervoso centrale) che evitano al muscolo di raggiungere un certo livello di stress tensivo, che è maggiore tanto più debole è il muscolo.

La debolezza di un singolo muscolo, ovviamente si ripercuote su tutta la catena muscolare, generando difficoltà di natura coordinative con importanti ripercussioni sulla tecnica.

DALL’ALLENAMENTO FUNZIONALE ALL’ALLUNGAMENTO FUNZIONALE

Una volta compresi i concetti espressi sopra, è facile comprendere come i movimenti dell’allungamento funzionale non possono altro che derivare da quelli dell’allenamento funzionale.

Ma come fare a strutturare un corretto programma di allungamento funzionale?

Ovviamente il punto di partenza è sempre il modello funzionale tecnico e biomeccanico di gara.

Una volta individuati gli angoli articolari più “estremi” della disciplina, le eventuali carenze di natura neuromuscolare che possono limitare i range articolari e il grado di stabilità/dinamicità richiesta a determinati angoli, sarà possibile strutturare il corretto programma, da strutturare sempre con gradualità e progressività.

 

 

In quale momento dell’allenamento andrebbe fatto l’allungamento funzionale?

A mio parere il momento migliore è nella parte centrale/finale dei riscaldamento, quando si è sufficientemente caldi e prima di effettuare la parte intensa dello stesso.

Alla luce del concetto di allungamento funzionale, lo stretching “classico” va abbandonato?

L’utilità dello “stretching statico” è ormai relegato alle sole situazioni di defaticamento quando i carichi di lavoro sono molto elevati (ad esempio durante la preparazione) in relazione alla condizione di forma.

In queste condizioni, l’affaticamento causa un ipertono che è meglio “rilassare” a fine seduta (se non sono presenti lesioni).

Quali punti in comune e quali differenze hanno l’allenamento e l’allungamento funzionale?

Il maggior punto in comune sono i movimenti di partenza sui quali strutturare i protocolli.

Ovviamente anche l’effetto allenante in alcune situazioni può essere sovrapponibile.

Ad esempio, l’affondo è un ottimo movimento per sviluppare sia la forza che la mobilità della catena antero/interna.

Se invece voglio lavorare sulla catena posteriore per allenare la Resistenza muscolare (per migliorare ad esempio nella corsa in salita utilizzerò il nordic hamstring stretching, mentre se lo scopo è quello di lavorare sulla mobilità, sfrutterò il single leg deadlift.

CONCLUSIONI

Il miglioramento dell’articolarità può avvenire per stimolo intensivo (cioè accompagnata da lavoro muscolare di varia intensità) od estensivo (senza o con minimo lavoro muscolare).

È ovvio che il primo di questi (intensivo) accoglie meglio il principio di funzionalità sportiva e di gestione dei movimenti, ed è quindi da preferire.

Solo fondendo la funzionalità e la specificità con il principio dell’allungamento è possibile ottenere una gestione del movimento ad angoli articolari estremi tipici della disciplina praticata.

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