Quasi tutti gli sportivi hanno sperimentato almeno una volta nella loro carriera sportiva una condizione psicofisica particolare, in cui la prestazione sembrava fluire senza sforzo in maniera superiore alle aspettative. E’ questa la peak performance, una specie di momento magico nel quale tutto si svolge perfettamente, dal punto di vista sia mentale che fisico, e la qualità eccezionale della prestazione sembra oltrepassare gli ordinari livelli di rendimento (Williams,1986).
Questo tipo di esperienza è caratterizzato da un vissuto di spontaneità e naturalezza; si accompagna ad un senso di potenza e di soddisfazione profonda (Privette, 1983) e rappresenta il punto massimo di arrivo, sintesi felice delle risorse personali, al quale tutti gli atleti dovrebbero aspirare.
Una condizione necessaria per raggiungere tale stato è il possesso dei prerequisiti ottenuti tramite una adeguata preparazione tecnica, fisica e legata agli aspetti psicologici.
La peak performance per la maggior parte delle persone, pur essendo altamente desiderabile, sfortunatamente è piuttosto rara ed apparentemente involontaria e al di là di un controllo consapevole. Viene a volte ricordata con un senso di nostalgia per il vissuto profondo di benessere e gratificazione che ad essa si accompagna, e per le caratteristiche effimere e temporanee.
Solo alcuni atleti di vertice hanno identificato il loro stato ideale di prestazione ed hanno appreso a riprodurlo e mantenerlo volontariamente, a tutto vantaggio del loro rendimento sportivo (Robazza, Bortoli, Gramacioni, 1994).
Alcuni autori (Kimiecik e Stein, 1992) ritengono che durante un’elevata prestazione gli sportivi possono avvicinarsi alla zona di flow ovvero lo “stato di grazia” in cui l’elemento fondamentale è la percezione di perfetto equilibrio fra le abilità personali e la sfida rappresentata dal compito.
In assenza di tale equilibrio possono essere vissuti stati mentali negativi: ansia, se l’atleta percepisce il compito superiore alle proprie possibilità, apatia, quando l’attività non appare interessante e leabilità sono carenti.
Il flow, coniato dallo psicologo croato-americano M. Csíkszentmihályi agli
inizi degli anni ’70, è uno stato di esperienza ottimale e piacevole che da una sensazione di
esaltazione in cui tutto sembra andare per il verso giusto ed è l’estremo bilanciamento su valori positivi di tutte le componenti psicologiche.
Per vivere esperienze ottimali il podista deve raggiungere un flusso continuo di attenzione concentrata completamente assorbita dal compito che sta svolgendo.
Durante il flow infatti l’atleta è completamente calato dentro ciò che sta
facendo al punto di “dimenticarsi” di sé stesso, di ciò che gli accade intorno e a volte anche del tempo che scorre.
Il flow rappresenta la modalità privilegiata per comprendere l’eccellenza della prestazione:
concentrarsi su di esso e sulle condizioni che ne sono alla base, consente di delineare un modello di ottimizzazione della performance che si raggiunge attraverso un allenamento inteso nella sua globalità, fisica e mentale.
Compito importante dello psicologo dello sport è aiutare gli atleti a sviluppare abilità mentali necessarie per suscitare e sostenere lo stato di prestazione ideale, in modo da riuscire a sottoporla a controllo volontario.