Il lungo collinare in allenamento

Il lungo collinare

Il Lungo collinare permette di dare degli stimoli allenanti superiori, con una riduzione del rischio di infortuni rispetto ai normali Lunghi che vengono effettuati in pianura.

Andiamo ora a vederne i dettagli.

Aspetto principale del Lungo Collinare è il percorso ondulato, fatto anche di salite abbastanza impegnative (nelle quali si riesce comunque a correre), eventualmente su terreni vari, ma preferibilmente senza discese particolarmente ripide e lunghe in asfalto.

Vediamo ora i 4 punti che fanno preferire questo allenamento ai Lunghi pianeggianti:

Punto N° 1: sviluppo della Forza

Nel nostro post dedicato alla forza e velocità del podista, abbiamo visto come la corsa in salita permetta di sviluppare la Resistenza Muscolare Locale, che rappresenta la forza specifica che deve avere il runner.

Riassumendo brevemente, questa aiuta a preservare i cali di forza che possono avvenire nei finali di gara, che solitamente tendono a far perdere efficienza di corsa.

Non solo, correndo in salita la caviglia (a causa della pendenza) assume una maggior posizione in dorsiflessione a causa della salita, migliorandone sia la forza che la flessibilità, aiutando a prevenire gli infortuni.

Ma quale intensità tenere in salita?

È ovvio che negli allenamenti collinari l’unico parametro necessario per il monitoraggio sono le sensazioni corporee (oltre ad un cronometro o un GPS per valutare la durata o lunghezza dell’allenamento); se per i tratti in pianura possono essere fatte le stesse considerazioni dei Lunghi, nei tratti in salita è ovvio che la fatica percepita (anche correndo lentamente) possa superare quella della CL.

Quello che è importante è che l’impegno sia comunque moderato, compatibilmente con il riuscire a correre.

Punto N° 2: sviluppo della Velocità

La Velocità del runner dipende dalla spinta orizzontale e dalla stiffness.

La corsa in discesa (anche a basso impegno) è uno sforzo prevalentemente eccentrico, cioè alcuni muscoli sono particolarmente sollecitati in fase di allungamento nella fase di contatto del piede con il terreno.

Tutto questo implica come anche senza correre particolarmente veloce, alcune fibre muscolari siano segnatamente sollecitate, rappresentando un ottimo effetto allenante nei confronti della Stiffness muscolare (che una componente della velocità del runner, che influenza l’elasticità).

Ma con che atteggiamento si corre in discesa in un lungo collinare?

Ovviamente l’impegno deve essere moderato, cioè non si deve avere il fiatone, ma avere la sensazione di correre con naturalezza; altrettanto importante è adottare una tecnica di corsa corretta.

Nell’immagine sopra sono indicati alcune specifiche essenziali per approcciare la discesa in maniera ideale.

Non è difficile ricordarli tutti, è sufficiente tenere presente che tutti gli elementi del corpo avranno un’attitudine orientata a finalizzare al meglio il movimento.

Ma partiamo “dall’alto”; testa e respirazione dovranno essere sciolti, il busto leggermente inclinato in avanti (per ridurre l’entità dell’impatto) in maniera tale che il bacino non subisca marcate oscillazioni mantenendo una corsa rotonda.

Lo stesso si otterrà piegando leggermente il ginocchio in fase di appoggio e prendendo contatto con il terreno con il piede in maniera neutra; infatti, molti runner tendono ad atterrare sul tallone con il ginocchio esteso, aumentando drasticamente le forze d’impatto, con la conseguenza di frenare bruscamente ad ogni passo ed incrementare il rischio di infortuni.

Questi errori sono ancor più evidenti quando la pendenza è elevata, per questo motivo, nei collinari, consiglio di evitare discese particolarmente ripide su asfalto; nei tratti in sterrato (o su sentiero) è consigliabile accorciare il passo a seconda dell’irregolarità del terreno, in maniera tale da scendere con maggiore sicurezza.

Punto N° 3: prevenzione degli infortuni

Correre su pendenze diverse comporta sollecitazioni più eterogenee di muscoli, ossa e legamenti; questo, oltre a fornire un effetto allenante più completo (come forza e velocità), evita che le sollecitazioni siano continuamente effettuate agli stessi angoli articolari come avviene in pianura.

Facciamo un semplice esempio del piede: correndo in pianura nella fase di appoggio, il tallone e la punta saranno più o meno allo stesso livello; in salita la punta risulterà sopra al tallone, mentre in discesa il tallone sarà sopra la punta.

Allo stesso modo, tutte le altre articolazioni beneficeranno della stessa eterogenicità degli stimoli; ancora più diversificato sarà l’appoggio nel caso in cui si corra su terreni diversi.

Non solo, visto che gli infortuni da sovraccarico si verificano soprattutto quando l’apparato muscolo-scheletrico è sollecitato in maniera univoca (stessa velocità, stessa pendenza, stesso terreno, ecc.), il collinare aiuta a diversificare gli stimoli riducendo il rischio di infortuni.

Punto N° 4: test e valutazione

Il collinare (e più precisamente un settore di esso) può essere usato anche come test soggettivo della propria condizione; tutti sappiamo che, anche tenendo un passo moderato su una salita molto ripida (lungo la quale si riesce comunque a correre), la fatica è maggiore quanto minore è la nostra condizione di forma.

Non solo, Townshend et al 2010 provarono che lo sforzo fatto in salita, aveva ripercussioni negative (a seconda della fatica fatta) anche nel tratto successivo alla salita stessa; infatti dopo una salita si tende a ricercare spontaneamente una fase di recupero, dipendente dallo sforzo profuso e dalla fatica accumulata nel tratto ripido.

Quindi, quale migliore soluzione di testarsi in questo determinato contesto, mantenendo comunque un passo moderato in salita (vista la pendenza) e focalizzandosi solamente su quelle che sono le nostre sensazioni (senza far caso a cronometro, GPS o cardiofrequenzimetro) durante la salita e nell’immediato tratto successivo?

 

La prima cosa è la caratteristica della salita; per un runner deve essere lunga almeno 1.6 Km con pendenza elevata (ma corribile), possibilmente superiore all’8-9% di media.

Ovviamente può essere anche più lunga e con una pendenza inferiore, l’importante è che la parte finale sia piuttosto impegnativa e possibilmente seguita da un falsopiano; in questo modo si potrà fare una sorta di doppia valutazione. La prima in base alle sensazioni provate durante la salita e la seconda nel falsopiano successivo.

Naturalmente la parte successiva dell’allenamento può variare in base allo stimolo allenante che si vuole dare alla seduta.

Aspetto importante per questo tipo di test è la ripetibilità, cioè deve essere affrontato in condizioni di relativa freschezza (non affaticati da allenamenti precedenti) e dopo un percorso iniziale comune; infatti, non avrebbe senso affrontare una salita del genere a volte dopo 4 Km ed altre dopo 10 Km.

Ovviamente non darà indicazioni precise, come il tempo che si può valere in una gara di 10 km pianeggiante, ma effettuata in momenti strategici della stagione (ad esempio una volta al mese) permette di avere indicazioni abbastanza pratiche dello stato della propria “cilindrata” in quel momento.

Rispetto a test effettuati con tempi, misurazioni, GPS, o cardiofrequenzimetri, è meglio tollerato dal punto di vista psicologico e, anche se non permette di ottenere riscontri particolarmente precisi, consente di migliorare la consapevolezza delle proprie sensazioni e la gestione dei ritmi.

Ma come interpretare le sensazioni del test?

È molto semplice: se si percepisce un miglioramento rispetto alla volta precedente, allora significa che nell’ultimo periodo si è effettuato un buon lavoro sul versante della velocità e della forza muscolare.

Se invece si percepisce un peggioramento o un “non miglioramento” rispetto al periodo precedente i motivi possono essere 2.

Il primo è che ci si trova in un leggero stato di affaticamento (organico o muscolare), e si ha bisogno di un periodo (più o meno lungo) di scarico.

Il secondo è che si ha lavorato in maniera preponderante su qualità che non hanno inciso sulle variabili che fanno migliorare il runner in salita; è l’esempio di quando si effettuano molte (o troppe) ripetute brevi o allenamenti simili.

Quanto è necessario recuperare dopo una seduta di lungo collinare?

Questa tipologia di allenamento è molto simile alla Corsa Lenta, ma produce un affaticamento muscolare leggermente superiore, sia perché alcuni tratti (come quelli in salita) sono inevitabilmente effettuati ad un impegno metabolico superiore, sia a causa degli impatti della corsa in discesa.

Se dopo un lungo il recupero “standard” è di 1 giorno ogni 10-12 Km, dopo un lungo collinare possiamo considerare 1 giorno ogni 8-10 Km. Tempi superiori possono essere necessari per chi corre le primissime volte in discesa senza essere abituato.

Quali sono i limiti del lungo collinare?

Dopo i tanti elogi fatti a questo allenamento, credo sia anche giusto indicarne il difetto principale (che è comunque relativo).

La corsa in salita permette di migliorare la Resistenza muscolare locale, mente quella in discesa la Stiffness.

Quello che manca è la Spinta orizzontale; è quindi ovvio che se si corressero tutti gli allenamenti in salita/discesa, si allenerebbe poco quest’ultima qualità.

Ma visto che la spinta orizzontale si allena prevalentemente correndo in pianura, è sufficiente inserire allenamenti pianeggianti nel proprio piano d’allenamento.

Ascolta “IL LUNGO COLLINARE IN ALLENAMENTO” su Spreaker.

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