Una volta compreso come esista un continuo turn-over di glicogeno durante le fasi di contrazione/rilassamento, facciamo un attimo il punto sulla funzione del lattato.
Per ogni molecola di glucosio proveniente dal glicogeno, otteniamo 2 molecole di Piruvato, che vengono trasformate in Lattato.
Infatti, se a riposo il rapporto tra le concentrazioni di lattato e piruvato è 10, sottosforzo supera i 500.
Questo rafforza ancora di più la teoria dello Shunt del Glicogeno, dimostrando come una grandissima parte del glicogeno venga trasformato in lattato.
Mentre una volta si credeva che il lattato fosse la causa della fatica, oggi sappiamo che non è così.
Lo possiamo considerare come un “testimone” (cioè è presente in elevate concentrazioni quando il muscolo è in alcuni stati di affaticamento), ma non la causa.
Una molecola di lattato, una volta riportata a Piruvato ed ossidata, permette di “ottenere” 18 molecole di ATP grazie alla metabolismo ossidativo (mitocondrio).
Secondo la teoria dello Shunt del Glicogeno, il 10% del lattato prodotto dalla glicogenolisi/glicolisi durante la contrazione, può essere utilizzato per fornire l’energia necessaria a risintetizzare il glicogeno durante la fase di rilassamento.
Ma dove va a finire il restante 90%?
Durante sforzi di lunga durata e bassa intensità, dopo i primi minuti di assestamento, la concentrazione di lattato nel sangue rimane costante, segno che esiste equilibrio tra la parte prodotta e quella smaltita.
nell’immagine sotto potete vedere quello che può essere il destino di questa molecola all’interno dell’organismo (Brooks et al 2018).
Oggi sappiamo che questa molecola può avere sia funzioni energetiche che glucogenetiche, oltre ad essere un “segnale” in grado di influenzare la secrezione di ormoni (come il GH) e tante altre funzioni cellulari e tissutali.
Per questo motivo, dal punto di vista della metodologia dell’allenamento riveste sempre più interesse il “come” viene metabolizzato, affinchè possa essere utilizzato al meglio dal nostro organismo al fine di ottimizzare la performance.
Altra molecola il cui comportamento è stato in parte rivisto è il glucosio.
Una volta si credeva che durante lo sforzo questo entrasse nella cellula per essere immediatamente ossidato a scopo energetico.
Grazie alla teoria dello shunt del glicogeno invece, ora sappiamo che una parte consistente di esso va a formare le unità glicosidiche del glicogeno, poi successivamente utilizzate a scopo energetico.
È stato dimostrato (Shulman 2005) che quando la concentrazione di glicogeno nella singola fibra muscolare scende sotto un certo livello, questa va incontro ad affaticamento (cioè non riesce ad erogare la stessa potenza di prima).
ne deriva che è fondamentale l’ingresso di glucosio nella cellula per mantenere il turnover di glicogeno (sintesi/degradazione) costante.
Ma se nei muscoli è stoccato in media 200-400 g di glucosio (sottoforma di glicogeno), come si riesce a mantenere il turnover se nel sangue ce ne sono solamente 5g?
Una buona parte viene immessa nel sangue dal fegato, grazie alla neoglucogenesi ed in parte dal glicogeno epatico (75-100g), come una parte può essere ingerita sottoforma diintegrazione.
La neoglucogenesi, a questo punto, riveste un ruolo estremamente importante nell’esercizio fisico, perché ha lo scopo di sintetizzare glucosio da altri substrati, tra i quali il lattato.
Non solo, altro aspetto fondamentale (negli sport di endurance) riveste la capacità di rendere disponibile velocemente i carboidrati ingeriti, alla cellula muscolare.
è allenabile questo processo?
Che caratteristiche deve avere un integratore a base di carboidrati per ottimizzare questa funzione?
In che modo, con l’allenamento, si può influenzare la neoglucogenesi?
Risponderemo a tutte queste domande nei prossimi capitoli.