Tra i metodi soggettivi quello più famoso è il RPE (Rate of Perceived Exertion), proposto da Gunnar Borg nel 1982.
Si basa su una scala (che può andare da 6 a 20, oppure da 0 a 10) che esprime la fatica percepita dall’atleta durante lo sforzo.
Diversi studi, anche recenti, hanno dimostrato come tramite la RPE sia possibile predire la durata di un esercizio ad una determinata intensità, oppure associare alla RPE un certo valore di lattato ematico, il che consentirebbe di mettere in relazione le varie andature degli allenamenti ad un determinato valore di RPE.
Olbrecht (Olbrecht, 2000) ha tuttavia rilevato che impostare gli allenamenti solo utilizzando la RPE è molto rischioso, perché a seconda delle caratteristiche dell’atleta, i livelli di RPE associati alla stessa quantità di lattato ematico possono essere molto diversi. Nel suo studio, Olbrecht ha rilevato una variabilità di ben 6 gradi di RPE per lo stesso livello di lattato ematico, di 4 mmol/l!
Da quanto detto si evince che i metodi soggettivi sono molto semplici da utilizzare (non serve alcun tipo di strumentazione), ma funzionano solo se l’atleta ha sviluppato una buona sensibilità, e se controlla periodicamente, con metodi oggettivi, se le sue percezioni sono corrette.
Di certo è molto importante che ogni atleta non si affidi solamente a metodi oggettivi, ma impari ad associare correttamente un valore di RPE al tipo di andatura che sta tenendo.
Nel prossimo articolo esamineremo i METODI OGGETTIVI DI VALUTAZIONE!