Allenarsi con il caldo

È noto a tutti che caldo e disidratazione hanno effetti deleteri nei confronti della performance e, oltre certi livelli, possono essere anche pericolosi per la salute.

Cercheremo di comprendere in che maniera queste variabili influiscono negativamente sulla performance e le strategie migliori per minimizzare o evitare che le proprie prestazioni subiscano delle flessioni eccessive a causa di questi fattori.

In questo primo articolo, approfondiremo i meccanismi fisiologici legati alla termoregolazione e le strategie per minimizzare gli effetti del caldo sulla fatica.

Nel prossimo vedremo in maniera più specifica le strategie per combattere il calo di performance dovuto alla disidratazione e come prevenirla.

IDRATAZIONE E TERMOREGOLAZIONE

Durante l’attività fisica il corpo produce calore; sudorazioneconvezioneconduzione ed irraggiamento sono le modalità attraverso le quali il corpo lo disperde.

In climi particolarmente caldi, la sudorazione è la “strategia” principale per disperdere il calore accumulato; infatti cedendo calore al sudore, questo evapora (perché questo processo richiede energia), provocandone lo smaltimento.

Se però, la perdita di liquidi corporei (detta disidratazione) supera certi livelli, anche questo “meccanismo” può andare in crisi, provocando (oltre ad un marcato peggioramento della performance) anche rischi per la salute (colpo di calore).

Se la temperatura percepita (data dalla temperatura ambientale, dall’umidità e dal vento) supera una certa soglia, provoca comunque un peggioramento della performance (rispetto a condizioni ambientali ideali), anche se non si è disidratati

 

Quindi, disidratazione e climi caldi provocano indistintamente cali della performance (oltre che rischi per la salute), e la loro “sovrapposizione” può essere veramente deleteria.

 

Ma in che misura, caldo e disidratazione influenzano la performance?

Non è possibile dare una risposta precisa (in termini di percentuali), visto che le variabili coinvolte in questo processo sono diverse; citiamo sotto le più importanti:

  • Condizioni ambientali: soprattutto la temperatura percepita, che dipende da temperatura esterna, umidità e vento. Roberto Albanesi prevede che per un runner, la perdita è di 1”/Km ogni grado oltre i 28°C.

Oltre certi livelli di temperatura percepita, è consigliabile astenersi dal fare sport.

  • Intensità dell’esercizio: alte intensità provocano un più rapido incremento della temperatura corporea e di conseguenza una maggior perturbazione a livello cardiovascolare.
  • Durata dell’esercizio: sforzi di lunga durata provocano una maggior disidratazione, con la necessità di maggior accortezza nell’integrazione di fluidi in gara/allenamento.
  • Livello di idratazione:  dipende dai liquidi persi con la sudorazione e da quelli ingeriti.
  • “Taglia” dell’atleta: soggetti più pesanti risentono maggiormente di clima caldi.
  • Grado di adattamento al caldo: è l’aspetto che più di altri è modificabile e può aiutare l’organismo a tollerare condizioni ambientali non favorevoli.
  • Grado di adattamento allo sforzo: la fatica indotta dallo sforzo si somma a quella indotta dal caldo e dall’eventuale disidratazione; per questo motivo è sempre bene presentarsi adeguatamente preparati a qualsiasi competizione.
  • Temperatura dell’organismo prima di iniziare lo sforzo

Ci soffermiamo sull’ultimo punto, che è stato oggetto di diverse ricerche negli ultimi anni; infatti è stato visto (Gonzalez-Alonso 1999, J Appl Physiol) che l’insorgenza della fatica dovuta ad ipertermia in ambienti caldi, avveniva nel momento in cui la temperatura centrale corporea (esofagea) superava una certa soglia (intorno ai 40°C); per questo motivo, sono nate strategie per minimizzare l’incremento della temperatura centrale durante il riscaldamento.

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